Dal flauto al Tai Chi: assicurare il gesto ed il corpo perfetto con la giusta terapia

Una raffinata flautista, componente di un Ensemble che esegue musica da camera, e una campionessa europea di Tai Chi, disciplina orientale dell’”equilibrio dinamico”? Una convivenza possibile “sotto la stessa pelle”, quella di Sophie Babetto, padovana, concertista, interprete di un repertorio che va da Mozart a Tchaikovsky, da Gershwin a Nino Rota, come solista o come componente dell’ensemble di fiati “I Cinque elementi”.
Come si è avvicinata alla musica e in particolare al flauto?
È accaduto per caso. Da bambina. Avevo un maestro che ogni settimana faceva una lezione d’arte e durante il disegno accompagnava la lezione con un disco di musica classica. Ed io quando sentivo il suono del flauto mi illuminavo e chiedevo: “Che strumento è?”. Così a sei anni ho deciso che sarei diventata una flautista. Ho cominciato tra i banchi di scuola con il flauto dolce e non ho più smesso.
Flauto e sport, entrambi ad alti livelli, sono conciliabili?
C’è stata una prima fase di vita flautistica un po’ difficile, con disturbi fisici che si sono trasformati in problemi emotivi. Il lavoro quotidiano del musicista può creare i danni, quando non è condotto nel modo corretto. Il flauto, d’altra parte, è strumento complesso già per la sua posizione di esecuzione essendo uno strumento trasversale. Per questo suonare il flauto comporta un supplemento di stress: obbliga a una posizione innaturale, che si aggiunge alla pressione psicologica che ogni artista sperimenta. Dall’altra parte sono stata sempre molto attiva dal punto di vista sportivo. Avevo iniziato una carriera nell’atletica leggera, in due specialità faticose come i 100 metri e il salto in lungo. Tutto questo quando avevo 18 anni. In quel momento il mio corpo ha detto stop: ho accusato problemi sul piano fisico, una sorta di mancanza di “scarico”, come se all’improvviso fosse arrivato un segnale rosso sulla mia strada. Ho subito un intervento chirurgico e ho dovuto interrompere le mie attività, artistiche e atletiche. A quel punto ho capito che qualcosa doveva cambiare e l’incontro con la terapia osteopatica e con Jacques Lamarche sono stati determinanti per capire cosa, per cambiare prospettiva e marcia.
“Quando ho incontrato Jacques Lamarche per la prima volta la mia condizione era disastrosa. Non sapevo cosa fosse il controllo del corpo, non sapevo cosa fosse l’ascolto del corpo. Io non mi “sentivo”.”
Cosa ha significato scoprire il legame tra corpo, benessere e musica?
Ho capito l’importanza che c’è nel rapporto tra benessere fisico e qualsiasi altra attività, artistica e non. Nel caso della musica, aumentando la consapevolezza di questo legame molte cose cambiavano, in meglio, sul piano fisico. Ho acquisito più sensibilità, ho iniziato a “sentire” dove commettevo errori. Spesso noi artisti artisti siamo alla perenne ricerca della soluzione senza capire dov’è il problema.
E invece attraverso il confronto con Lamarche ho compreso che il centro, l’appoggio a terra, il controllo, l’ascolto, sono fondamentali. Spesso quando si è di fronte a pagine di altissimo livello artistico o a concerti meravigliosi, la passione verso la musica ci fa staccare dal corpo, ci proietta verso lo spartito. E tutta la nostra energia è concentrata sull’espressività che è il punto di arrivo, il punto finale della nostra esecuzione. Tuttavia è difficile lasciarsi andare se prima non c’è il controllo del corpo, del respiro, dell’assetto.
Altri due elementi centrali nella sua esperienza sono stati il Tai Chi e il metodo Alexander, sport e musica. In che modo ne è stata influenzata?
Il Tai Chi mi ha consentito di sviluppare un istinto che è dentro tutti noi, ma che spesso perdiamo di vista: l’intimità con le leggi di natura. Noi siamo parte della natura, subiamo reazioni semplici, ma delle quali non siamo sempre consapevoli. Accade persino con il passaggio delle stagioni. Alcune sensazioni – il discorso vale ancora di più per quelle negative – possono restare “attaccate” alla persona per tutta la vita senza che ci sia una consapevolezza reale dell’origine. In questo modo possono diventare un grande problema dal punto di vista artistico. E questo vale allo stesso modo per il musicista, per il ballerino o per lo scultore.
Il Tai Chi riesce a farti lavorare sull’aspetto fisico, dandoti equilibrio, forza, radicamento, elasticità. Sul piano emotivo e psichico ti consente di ritrovare l’equilibrio. Il lavoro con il metodo Alexander è un po’ diverso: si tratta di un metodo di apprendimento per il flauto che oltre alla tecnica è attento alla postura, alla posizione. Dopo i miei studi iniziali con il maestro Raimond Guyot, avevo sentito parlare di questo “metodo”, ma pensavo si trattasse di una perdita di tempo dal punto di vista artistico. Invece quando l’ho scoperto studiando con un nuovo maestro, Conrad Klemm, ho capito l’importanza del rapporto tra corpo ed esecuzione artistica.
Il legame tra corpo, mente e arte è davvero così stretto?
Il mio percorso di ricerca come artista e come sportiva mi ha dimostrato che è così. Oggi so che non c’è nessun “assoluto” nel campo dell’arte, non esiste la posizione giusta, ma che ognuno ha la sua fisicità, con proprie caratteristiche. Eppure credo, anche come insegnante di molti allievi, che quello che bisogna trasmettere è la necessità di non perdere il centro. Se non avessi incontrato Jacques Lamarche non avrei avuto mai la curiosità di ricercare queste tracce. Ma soprattutto non avrei trovato un grande professionista che riesce a lavorare sul corpo, il suo “centro”, il suo equilibrio, risolvendo problemi comuni di noi artisti. Jacques Lamarche e Silvia Malaguti guidano un team di professionisti eccellenti e sempre disponibili, anche nelle emergenze dell’ultimo minuto. Come mi è accaduto poco prima di partire per due appuntamenti importanti: il campionato europeo di Tai Chi, a cui seguivano alcuni concerti negli Usa. Un problema alla schiena mi aveva completamente bloccata. Sono stata da Lamarche il giorno prima di partire e due giorni dopo ho vinto 5 medaglie.
Sophie Babetto