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Campionessa di triathlon: liberata dal dolore sono diventata madre

Lo sport, dà delle sensazioni uniche, difficili da comunicare agli altri. E poi ci sono gli stop, che fanno parte della vita di un atleta. È quello che è capitato a me, fino al fortunato incontro con il dottor Lamarche nel 2001. La mia giornata tipo di allenamento, fino a quel momento, iniziava con la corsa, continuava con nuoto, poi bicicletta e ovviamente il lavoro, fuori e dentro casa.”

Cominciai a spingere di più, sostenuta nella passione della mia vita anche da mio marito, Nazionale italiano di Triathlon, ma il mio fisico iniziò a risentire di un carico eccessivo di allenamenti: i piedi mi facevano male e per questo correvo con un appoggio scorretto. Insieme a tutto questo c’era anche la difficoltà ad avere un bambino. Cercavo in tutti i modi di allenarmi e correre, con la solita tenacia e voglia di arrivare. Quando si scelgono discipline così dure come la maratona o il triatlhon, c’è una continua sfida con se stessi, per migliorare sempre e raggiungere nuovi risultati. La parte più importante di questo percorso non è la gara, ma l’allenamento, con giornate che cominciano alle 6 di mattina e finiscono alle 23.

Tuttavia in quel momento non diedi ascolto al mio corpo e i miei problemi si aggravarono velocemente. Dopo alcuni mesi iniziai ad avvertire forti dolori al basso ventre, che cercai di ignorare correndo con il bacino in avanti per non avvertire il dolore. Non mi accorgevo che il mio corpo si stava modificando involontariamente per superare la sofferenza e continuare nella passione della mia vita. Finché un giorno, di mattina presto, dopo pochi chilometri di corsa, il dolore si fece insopportabile e dovetti tornare a casa: non riuscivo più a poggiare a terra il piede destro e i dolori al ventre erano lancinanti. Ero diventata un vero “catorcio”, all’età di soli 28 anni e con una carriera sportiva ancora “giovane”, per i parametri di riferimento del nostro sport.

Quel giorno cominciò il mio calvario, fatto di esami, radiografie, farmaci e specialisti che non comprendevano il mio problema e mi proponevano come unica soluzione chiudere con lo sport. Mi furono prescritti antidolorifici e iniezioni per curare una presunta osteoporosi. Ero disperata. Come se non bastasse, si presentò anche una delicata interruzione del ciclo mestruale. Mi sentivo persa, sempre nervosa. Mi sottoposi a numerosi esami del sangue, a controlli della tiroide e dei livelli ormonali. I valori erano in ordine, ma qualcosa non andava. Venne il tempo delle cure: punture ogni mese per sette giorni, molto dolorose.

Fu grazie a mio marito che trovai la forza di rialzarmi e sperare ancora. Lui era già stato curato in passato dal dottor Lamarche e mi propose di contattarlo. Ricordo che il primo risultato promesso dal dottor Lamarche fu che avrei abbandonato tutti i farmaci, gli antidolorifici e gli altri. Ebbi un primo momento di incredulità, ma poi dovetti ricredermi: quella fu la mia rinascita. Dopo poche visite, il dottor Lamarche aveva rilevato cose che neppure io ricordavo più: un trauma all’osso sacro subito alcuni anni prima mentre facevo canyoning nei pressi del Lago di Garda e che avevo sottovalutato. È stato quello un momento fondamentale, perché allora ho compreso come il fisico possa memorizzare atteggiamenti sbagliati, che se mantenuti a lungo modificano l’assetto del nostro corpo. Compresi anche che quel modesto incidente aveva cambiato il rapporto tra scheletro e visceri.

Il lavoro impostato dal dottor Lamarche è durato qualche anno, con sedute ogni uno o due mesi, e comprendeva movimenti e manipolazioni. Per concludere il mio recupero ho avuto bisogno di tempo, perché dopo ogni seduta il corpo ha bisogno di riabituarsi alla postura perduta e inoltre per una come me, abituata al movimento continuo, era difficile accettare di star ferma, infatti il recupero è stato più lungo. Eppure alla fine di questo percorso è arrivata la “guarigione”, che mi ha permesso di riavere anche la serenità perduta. Dalla mia vita sono spariti gli antidolorifici e le iniezioni e cosa ancora più importante sono riuscita ad avere un bambino. Sono convinta, da atleta e da mamma, che ci sia una profonda fusione tra mente e corpo e che attraverso l’approccio osteopatico si ristabilisca un ordine perduto che regola molte delle nostre funzioni, comprese quelle legate alla riproduzione.

Adesso la mia vita è tornata a scorrere normalmente. Mi alzo presto rubando un po’ di tempo alla giornata per una corsa lenta e poi accompagno mio figlio a scuola. È lui stesso che mi incita a correre, è il mio primo tifoso. Riprendo l’allenamento con mio marito nella pausa pranzo con un lavoro di ripetute su strada o in pista, corte o lunghe a seconda del tipo di gara che stiamo preparando, una 10 chilometri o una mezza maratona. Due volte a settimana faccio l’istruttrice di spinning. Al sabato pausa e domenica, quando c’è, la gara. Poi ancora nuoto e bici, anche se da quando è nato mio figlio io e mio marito facciamo solo due gare di Triathlon all’anno. Nella mia carriera di atleta non professionista ho vinto alcune 10 km, una mezza maratona, piazzandomi molto spesso sul podio o tra le prime dieci. Insomma, ho avuto e continuo ad avere grandi soddisfazioni dallo sport, ma la mia più grande vittoria sono la mia famiglia e il mestiere di mamma, una gioia che in quel momento della mia vita credevo non avrei mai provato.

Simonetta Lazzarotto

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