“Dolore pelvico: curare corpo e mente” – Intervista su Corriere Salute 08/01/2016

L’alleanza tra Neurofisiologia e osteopatia Dolore pelvico: curare corpo e mente Un nuovo approccio che consente di curare l’organismo come un tutt’uno e non una somma di parti e che si avvale della collaborazione di diversi specialisti di Daniela Natali Dall’incontro tra due professionalità diverse è nato un nuovo metodo di diagnosi e cura, per affrontare un problema spesso misconosciuto e sottovalutato: il dolore pelvico e perineale.

Da una parte, Silvia Malaguti, neurologa e neurofisiologa, per anni al lavoro nelle Unità spinali, dove si curano persone con gravi lesioni alla colonna vertebrale e attualmente consulente dell’Unità spinale dell’ospedale di Magenta (Milano); dall’altra Jacques Lamarche, osteopata francese, esperto di biomeccanica del movimento, accomunati dalla convinzione che si debbono trattare i malati e non le loro patologie e che il nostro corpo è un tutt’uno e non una somma di parti a se stanti.

Agli inizi, nel 2006, hanno lavorato insieme, ma a “distanza” scambiandosi esperienze, intuizioni, know-how e poi, nel 2008, hanno deciso di aprire uno studio dove guidano una squadra di diversi professionisti: psicologi (perché se il corpo è uno, anche mente e corpo son un tutt’uno), osteopati, fisioterapisti, nutrizionisti, tecnici di neurologia e della riabilitazione.

Come è nata la decisione di coniugare neurofiosiologia e osteopatia? «Di Jacques mi incuriosiva la capacità di entrare in contatto con il paziente e la rapidità dei risultati che otteneva e lui, con me, capiva, grazie alla diagnosi neurologica e posturale, come “funzionava” chi aveva davanti. Il mio lavoro consisteva nel trovare soluzioni pratiche per aiutare i pazienti in Unità spinale a recuperare le funzioni danneggiate, andando oltre il referto di patologia. Dovevo capire come il corpo “parla” e come si decodifica questo linguaggio: Jacques mi ha aiutata in questo.

Si trattava di aprire le porte alle risorse restanti del corpo e di non fermarsi alle cure farmacologiche. Lavorare con Jacques, visitare le persone sempre insieme, mi, anzi ci, consente di realizzare davvero un modello di medicina integrata». Come vi ponete di fronte al paziente? «In una posizione di partecipazione emotiva perché solo così noi e lui possiamo fare un lavoro di squadra. Chi ci sta davanti non è passivo nei nostri confronti e noi lo sosteniamo e accompagniamo nel suo riappropriarsi del corpo, un corpo di cui ha perso il controllo e che lo ha fatto a lungo soffrire – e il cui normale funzionamento è spesso compromesso – perché da noi arrivano persone con spalle anni di infruttuosi tentativi di cura, interventi chirurgici sbagliati, terapie analgesiche sempre più pesanti».

Ci aiuti a capire il vostro metodo… «Facciamo un esempio: siamo di fronte a una diagnosi di ernia discale. L’ernia o la protrusione discale a una certa età è presente nella grande maggioranza dei casi – frutto di un cattivo allineamento della colonna vertebrale – ma bisogna vedere come si “esprime”. La tecnologia, che permette di fare diagnosi sempre più sofisticate, è solo un punto di partenza, non deve diventare fine a se stessa. Vanno messi in una cornice tutti i risultati degli esami per avere un quadro che ci consenta di capirne il funzionamento.

E se il corpo “parla” non bisogna limitarsi a “zittirlo” con gli analgesici». Perché non usare, o ridurre, gli analgesici se il dolore c’è? «Perché il dolore è un segnale da decodificare. Il dolore pelvico, del quale principalmente ci occupiamo, viene in genere trattato solo con antidolorifici, ma il corpo in questo modo continua a insistere sul compenso errato che ha messo in atto per proteggersi. Bisogna fare la strada all’ indietro per risalire alla causa della sofferenza. Il dolore nasce quando il cervello non sa integrare le informazioni che gli arrivano , esprime disorientamento. La pelvi è il punto centrale del nostro corpo, uno snodo. È all’inizio della vita, accoglie visceri, ossa, muscoli, organi.

Ed emozioni. È il luogo del piacere e del dispiacere. Dal punto di vista biomeccanico e posturale è questo il centro su cui si organizza il corpo». È per questo che trattare il dolore pelvico è così complesso? «Certo. Bisogna chiedersi: la sofferenza c’è, ma da che cosa dipende? Le cause possono essere davvero molte. Facciamo un esempio: abbiamo una piccola ferita alle dita del piede, il bacino cerca una posizione di compenso per evitarci dolore, la pelvi ci va di mezzo, soprattutto per chi ha già problemi posturali come ad esempio una scoliosi. Ma le cause del dolore possono essere tanto differenti quanto son i ruoli che il bacino svolge».

Si possono fare un paio di altri esempi pratici? «Il pavimento pelvico è una specie di ”amaca” che chiude in basso il bacino, perciò funziona anche da ammortizzatore delle pressioni che riceve dalle cavità toracica e addominale. Pensiamo, ad esempio, alle conseguenze di un intervento di ernia inguinale: la chirurgia risolve il problema della parete muscolare ma non interviene sulla causa cioè l’eccessiva pressione addominale che va a scaricarsi sul pavimento pelvico.

Spesso poi la cicatrice crea una “piega” nei tessuti profondi che fa lavorare male il perineo causando dolore oltre a sintomi vescicali, intestinali o genitali. La pelvi è sempre chiamata a compensare i difetti posturali e compie un lavoro tanto più importante quanto più il problema è avvenuto nel passato. Pensiamo alle conseguenze che può creare una frattura alla gamba, subita da bambini, a distanza di molti anni. Una banale influenza intestinale scompensa la pelvi, indebolita dal superlavoro, che non è più in grado di funzionare correttamente e allora emerge il dolore dopo l’evacuazione, il prolasso, la neuropatia del pudendo.

Come è organizzato il vostro percorso terapeutico? «Prima, ovviamente, viene la diagnosi, accurata, in una posizione di attenzione empatica verso chi ci chiede aiuto. Acquisiti i risultati di tutti gli esami, fatti o consigliati, si passa a un’analisi neurologica e posturale che permette di vedere come viene usato il corpo e da quali memorie del passato è segnato: traumi, eventi chirurgici, problemi neurologici. Il dolore è sempre frutto di uno sbilanciamento e una diagnosi approfondita è il primo passo per riportare il corpo, anche nel suo aspetto psico-emotivo, a essere funzionale», Secondo passo di questo percorso? « Poi viene il percorso di integrazione corpo – emozione: si parte dall’aspetto meccanico posturale. Anche se si rimuove “l’origine” del male, lo squilibrio è infatti diventato una abitudine acquisita e bisogna arrivare a un radicale cambiamento, attraverso un percorso di normalizzazione dei rapporti tra ossa, nervi, muscoli e arti. Il punto di forza della nostra strategia è la “neuroplasticità”.

Un meccanismo che consente di plasmare e ripristinare le funzioni corrette dell’area pelvica – e non solo — attraverso esercizi, manovre personalizzate, tecniche posturo-respiratorie, di rieducazione pelvi-perineale e ricondizionamento del movimento, nutrizione personalizzata ed esperienza di verbalizzazione della sofferenza, potenziando le risorse per ritrovare la gioia del corpo. Compito mio, da neurofisiologa, è osservare e misurare la direzione e l’entità del cambiamento, mano a mano che si verifica, e di ottimizzare l’attività integrata della squadra col paziente al centro del percorso terapeutico».

Quando dura il cammino terapeutico? «In genere dai tre ai sei mesi con una seduta a settimana, o anche meno, ma già a breve i sintomi si fanno meno fastidiosi. E le ricadute sono evitate». Vi occupate solo di dolore pelvico? «No, questo approccio integrato serve a curare disturbi posturali come cifosi, scoliosi, iperlordosi, lombalgia, sciatalgia, cervicalgia, ernie discali, cefalea, emicrania. Disturbi funzionali come vertigini, acufeni, reflusso gastro-esofageo, prolasso, stipsi, colon irritabile, incontinenza, cistite interstiziale, disfunzioni sessuali. Esiti post-traumatici come tendiniti, contratture muscolari, dolore al coccige».

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