XXI Congresso Nazionale AIUG: La Pelvi, centro di gravità permanente – Torino 6-8 Novembre

Ginecologi, urologi, neurologi, fisiatri, odontoiatri. L’approccio alle disfunzioni perineali resta multidisciplinare, ma entra in una nuova era: sempre in più casi, in Italia, i team che si occupano di disfunzioni pelvi-perineali hanno maturato la consapevolezza della necessità di integrare il punto di vista neurofisiologico e biomeccanico.

Una dimostrazione arriva dalla relazione “Analisi dei modelli neuro-meccanici e percorso di recupero nelle disfunzioni perineali” presentata da Silvia Malaguti, neurologa specialista in neurofisiopatologia, consulente dell’Unità Spinale dell’Ospedale Niguarda di Milano, e Jacques Lamarche, osteopata specialista in biomeccanica clinica, consulente scientifico del dipartimento di Ostetricia e Ginecologia del Policlinico di Abano Terme.

Un intervento ricco di dati, spunti e risultati che ha destato l’interesse degli esperti provenienti da numerosi centri italiani ed europei, tra cui Francia, Inghilterra, Germania, riuniti al Centro Congressi Lingotto di Torino per il XXI Congresso Nazionale dell’Associazione italiana di urologia ginecologica e del pavimento pelvico (Aiug) dal titolo “La Pelvi: centro di gravità permanente. Nuove idee sulle correlazioni tra postura, disfunzioni del pavimento pelvico, riabilitazione, chirurgia e risultati”.

Tempi lunghissimi per la diagnosi Un primo dato essenziale della relazione. Le disfunzioni delle pelvi possono trasformarsi per i pazienti in un labirinto di cure e consulti spesso inefficaci: 5 anni per ottenere la diagnosi e 8 specialisti consultati in media. È quanto ricostruito da una ricerca su un consistente campione di pazienti, 385 tra il 18 e 89 anni di età, di cui il 65% donne, in cura dal 2008 al 2011.

Interessanti i dati sulle cause della disfunzione – il 38% presentava esiti da post-trauma, il 27% da post-chirurgia, il 20% lamentava sintomi legati all’usura e il 15% una predisposizione per cause congenite – e sulla sintomatologia: il 70%, la maggioranza, era colpito da dolore e in particolare da dolore cronico, diagnosticato quando la sua persistenza supera i 6 mesi.

E ancora il 50% aveva disturbi vescicali, il 45% intestinali e il 30% all’area genitale. Uno scenario complesso, in cui la presenza quasi sovrapponibile di alterazioni biomeccaniche (95%) e di alterazioni neurofisiologiche (82%), mette in evidenza la necessità di una valutazione integrata delle disfunzioni. I dati: 7 pazienti su 10 guariscono La via al trattamento del dolore pelvico, infatti, non passa solo attraverso chirurgia e rieducazione, ma attraverso indagini diagnostiche più approfondite, che gettano nuova luce sulle possibilità di intervento biomeccanico sui deficit posturali, anche in chiave preventiva. È quanto svela passo dopo passo la lettura mettendo in evidenza gli elementi che legano il binomio struttura e funzione. Il bacino è un intricato labirinto di nervi, muscoli e tendini che abbracciano in modo complesso l’apparato scheletrico.

Siamo nel “centro di gravità permanente”: il bacino. Qui partono e si scaricano forze e trazioni, mente la muscolatura pelvica assolve a numerose funzioni: sostiene gli organi interni, assicura il movimento e la torsione, ammortizza urti e pressioni. Un vero puzzle che la relazione affronta come un “viaggio nel corpo umano”, tra immagini tridimensionali, tavole anatomiche, definizioni scientifiche, ma soprattutto modelli esemplari dell’approccio medico-scientifico: “Il sintomo – si legge nella relazione – è espressione di una alterazione del sistema e della incapacità di adattamento”.

Un principio dimostrato attraverso la discussione di tre casi clinici: antiversione della pelvi, sacro orizzontale, traslazione anteriore della pelvi. Si passano quindi in rassegna i tre stadi del metodo – studio preliminare su forma e scompensi, diagnosi approfondita, terapia personalizzata – che sul totale del campione esaminato, escluso il 12% indirizzato verso altre terapie e il 21% di abbandoni prima della conclusione, ha dimostrato la sua efficacia nel 67% dei casi trattati.

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